L’ALBERO CHE CRESCEVA A TESTA IN GIU’

C’era una volta un albero che cresceva a testa in giù. Aveva le radici nelle nuvole e una gran chioma di foglie verde mare. Ma l’altra grande magia dell’albero a testa in giù era che ogni sua foglia nasceva mostrando una lettera dell’alfabeto. L’albero non sapeva perché questo accadesse e perché le sue foglie volessero sempre giocare con le lettere e comporre parole…per lui si trattava di una complicazione in più: già gli era difficile guardare il mondo alla rovescia, per non parlare poi di quanto fosse triste per il fatto che nessun uccellino faceva il nido fra i suoi rami, temendo prima o poi di finire per terra…

“Non preoccupatevi amici – diceva l’albero ai passerotti che ogni tanto passavano di lì – restate a farmi compagnia, fate nascere qui i vostri piccoli, in fondo sono un albero come tutti gli altri!”
Ma niente da fare: I passerotti e gli altri uccellini lo guardavano sospettosi e volavano via. Solo le cicale non lo disdegnavano, ma quelle si sa, fanno qualunque cosa pur di farsi sentire.

Per consolarsi l’albero pensava che, se non altro, nessun gatto l’avrebbe mai graffiato per arrampicarsi su di lui scappando da un cane rabbioso, o dalla scopa di una massaia indaffarata. E dato che i boscaioli non tagliano alberi in mezzo alle nuvole, anche pensare che certo non sarebbe morto d’ascia lo rinfrancava assai. Ma si trattava di ben magre consolazioni, rispetto alla solitudine che sentiva.

Un giorno come tanti vide sotto di sé una mamma e un bambino che discutevano. Aguzzò le foglie per sentire meglio, che da lassù non era mica facile, e le foglie, che assorbivano tutti i suoni, gli riportarono questo dialogo:

“Mamma, guarda questa foglia!”

“Me la farai vedere un’altra volta, sbrigati adesso, non farmi perdere tempo.”

“Ma mamma, guarda, non è una foglia come le altre, c’è una lettera sopra, sembra una Esse, come l’iniziale del mio nome!”

“Saverio! Smettila con le tue storie assurde, la gente non va in giro a raccogliere foglie per scriverci sopra le lettere dell’alfabeto!”

“Ma non ce l’hanno scritta sopra, la lettera è nella foglia, guarda!”

“Dai qua, fammi vedere… Ecco, lo sapevo, non c’è niente, è una foglia come tutte le altre! Ma dove la vedi la lettera!! Sei sempre il solito, oggi chissà che altro t’inventerai, pur di non andare dal dottore!”

Nel frattempo l’albero, dispiaciuto per il bambino, iniziò a sua volta a rimproverare le foglie:

“Ecco, avete visto cosa avete combinato con la vostra mania delle lettere? Quel povero bambino… che poi le vede solo lui, le vostre lettere!”

“E’ così che dev’essere – risposero le foglie frusciando – solo chi ha occhi per vedere e cuore per sentire potrà raccogliere il messaggio.”

Dopodiché, per quanto l’albero continuasse a insistere perché si spiegassero meglio, le foglie si chiusero sopra i suoi rami, mute. L’albero continuò a guardare giù…chissà perché il bambino doveva andare dal dottore… lui e la madre stavano ancora discutendo:

“Non ci voglio andare dal dottore, mi fa paura, dai mamma ti prego, ti giuro, non mi fa più male la pancia, riportami a casa, prometto che andrò a scuola tutti i giorni come gli altri bambini, ti prego-ti-prego-ti prego…”

“Saverio, te l’ho già detto, la devi smettere con tutte queste storie! Allora te lo sei inventato il mal di pancia? Peggio per te, dal dottore ti ci porto lo stesso!!”

Adesso l’albero era davvero triste per Saverio, ma che poteva fare da lassù? Vide il bambino mettersi in tasca la foglia con la lettera Esse e poi sua madre che lo strattonava allontanandosi di lì. 

*****

Passarono diversi giorni. L’albero continuava a guardar giù in cerca di compagnia, ma andavano tutti troppo in fretta per accorgersi di lui. Neanche i bambini guardavano il cielo e le nuvole, anzi, stavano tutti a testa bassa. Chiese alle foglie perché e quelle risposero che i bambini avevano smesso di giocare come una volta, di rincorrere farfalle e indovinare le forme delle nuvole. Ormai, spiegarono, tutti i giochi erano immagini in movimento che si trovavano dentro a certi schermi chiamati cellulari.

“Cellulari? – volle sapere l’albero – quindi sono insiemi di cellule? Sono vivi?”

“Sembrano vivi, invece sono morti.” Risposero le foglie

“Oh insomma – si risentì l’albero – sempre così misteriose! O sono vivi, o sono morti, non ci sono vie di mezzo!”.

“I cellulari sono stati fatti dagli uomini in modo da sembrare vivi. I bambini ci parlano e ci giocano come se lo fossero, anche se non è così.”

“Non capisco…” disse l’albero.

“Il cellulare è il loro compagno di giochi.  Passano molto tempo a giocarci… più che con i loro amici…” 

“Anche Saverio?” chiese ancora.

“Saverio conosce la differenza.” fu la risposta sibillina delle foglie. L’albero, che ormai aveva imparato a conoscerle, non aggiunse altro.

Finalmente venne il giorno in cui il bambino tornò da lui. Gli fu facile riconoscerlo, perché stava parecchio a testa in su. Ma guardava anche in basso…

“Che starà facendo – pensava l’albero – sembra cercare qualcosa…”

“Infatti – gli sussurrarono le foglie – sta cercando noi!”

Detto fatto: Saverio raccolse una foglia da terra e la osservò con grande attenzione. Poi tornò a guardare su. Poco dopo si rivolse a un bambino che stava giocando col suo cellulare a poca distanza da lui.

L’albero aguzzò tutte le sue orecchie-foglie:

“Ehi! – stava dicendo Saverio al bambino col cellulare – Ehi! Guarda questa foglia!”

L’altro lo ignorò.

“Ehi! – insistette Saverio – Sai leggere?”

A questa provocazione il secondo bambino alzò la testa e lo fissò in segno di sfida:

“Cosa vuoi?”

“Voglio che guardi questa foglia.”

Il bambino prese la foglia, la scrutò bene da entrambi i lati e gliela restituì.

“E allora? Che avrebbe di speciale, questa foglia?”

“Non vedi la lettera?”

“Che lettera? Sei ubriaco? Vedi cose che non esistono!” Lo schernì il bambino.

Saverio, avvilito, si strinse nelle spalle.

“C’è una “A”. Sei tu che non la vedi.”   

“Non credo proprio – rispose l’altro con un ghigno – Vedi cose che non esistono.” E riabbassò la testa per mettendosi a giocare per i fatti suoi.

Saverio tornò a guardare in alto: sentiva che c’era qualcosa lassù, ma vedeva solo un cumulo di nuvole bianche. Eppure…quelle foglie misteriose dovevano pur venire da qualche parte. Da dove erano cadute? Non c’erano alberi nelle immediate vicinanze con delle foglie come quelle. E soprattutto (ma questo non l’aveva detto a nessuno) erano passati giorni e la prima foglia, quella con la lettera “S”, era ancora verde.  Non si seccava! Ora possedeva due gradi foglie ovali, di un verde brillante, con una lettera su ognuna. La “S” la “A”.

SA. SA come SAVERIO? Sa come SAPERE? E nel caso, cosa avrebbe dovuto sapere? Continuò a cercare, ma per quel giorno non trovò altre foglie speciali. L’albero, che continuava a osservarlo, lo vide andarsene con le mani in tasca e la testa incassata fra le spalle. Ma non dovette aspettare molto, per rivederlo.

Saverio tornò il giorno dopo a cercare altre foglie speciali; perlustrava il prato del grande parco vicino a casa sua come fosse la cosa più importante al mondo. Tanto, pensava, nessuno fa caso a me, a parte prendermi in giro perché sono basso. “Piccolino” diceva la mamma, ma solo quando era in buona… anche il dottore diceva che era troppo basso per la sua età. E la sua nuova maestra, nella nuova scuola, aveva chiesto due volte quanti anni avesse, pensando che il suo posto fosse in prima. No, aveva detto lui, devo fare la terza: è tanto che so leggere!

Nel frattempo l’albero, per guardarlo, aveva dimenticato di controllare che le foglie non combinassero altri guai. Il giorno prima, dopo che Saverio se n’era andato, aveva tuonato da tutti i rami:

“Dovete smetterla   con questa faccenda delle lettere! Quel povero bambino ha già troppi problemi: la mamma sempre nervosa, il papà che chissà se ce l’ha, i bambini attaccati ai cellulari che non giocano con lui, insomma, ci manca pure che diventi matto a cercarvi! Che poi non serve a nulla, le vostre lettere le vede solo lui!”.
Ma le foglie, invece di ubbidire, si erano mosse appena un po’ ripetendo “E’ così che dev’essere”e mentre l’albero guardava giù avevano lasciato cadere, proprio vicino al bambino, un’altra loro sorella.

“Finalmente! Eccone una!” Aveva esultato Saverio, ma in silenzio.  Si era specializzato nell’evviva-in-silenzio, perché suo padre (che c’era, ma era quasi sempre nervoso) un giorno gli aveva detto:

“Se urli un’altra volta così ti taglio la lingua e te la faccio ingoiare. Urla in silenzio!!”  

Lui non ci aveva creduto troppo, ma si era abituato a stare zitto lo stesso, per precauzione, che coi grandi non si può mai dire…

Ma ora che felicità, un’altra foglia speciale, con la lettera… la lettera… ma era una lettera o un numero? Sembrava una “L”, ma guardandola dall’altro verso poteva anche essere il numero  7… ma no, si disse,  poteva essere solo una “L”. SA7 non aveva senso. SASETTE? SAL invece poteva dire un sacco di cose:

sale, saltare, salamoia, salame, salvare, salve, sala, salto, salvo, salute, salace, salasso…

Si stava ancora scervellando su tutti i nomi possibili che iniziano per SAL, quando si accorse di una nuova foglia che gli era caduta sulla testa. Al centro della foglia emergeva, bella grande, la lettera “I”.

Adesso le quattro foglie componevano la parola “SALI”.

SALI??  Nel senso di salire?

Saverio alzò la testa: all’improvviso vide, sopra di lui, l’albero che spuntava dal cielo. Non riusciva a crederci! C’era sempre stato? Le foglie venivano da lì? E se c’era sempre stato, perché non l’aveva visto prima?                      E soprattutto, lo vedeva solo lui? Non aveva voglia di essere sgridato di nuovo. Portare lì la mamma era fuori discussione, non avrebbe neanche guardato. Papà non si poteva disturbare, la maestra la vedeva solo a scuola e comunque gli piaceva poco e gli altri bambini nel parco guardavano tutti il cellulare… ma doveva sapere!
Pensò di rivolgersi al venditore di palloncini. Forse gli avrebbe dato retta, pur di vendergliene uno: erano tempi duri anche per lui, sempre per colpa dei cellulari che potevano mostrare ai bambini tutti i palloncini del mondo, senza che scoppiassero o volassero via. Certo, erano palloncini finti, fintissimi, ma questo ai bambini non importava. Si appellò dunque all’uomo sperando che l’ascoltasse:

“Ehi – disse indicando verso il cielo – lo vedi lassù, l’albero a testa in giù?”

L’uomo lo guardò con una faccia strana.

“Che dici? Che albero? Guarda qui che bei palloncini che ho, ti piace questo, eh? Ho tutti i personaggi, guarda, l’Uomo Ragno, non ti piace l’Uomo Ragno?  Vuoi i Minions? I Minions ce li ho tutti! Niente Minions… Frozen? Tartarughe Ninja? Minipony? Ah no, i Minipony sono da femmine, giusto…Ho capito, sei piccolo, andiamo sui classici… Pluto, Topolino? Paperino?”

Saverio avrebbe voluto urlare, ma non osava, sia mai che anche questo volesse tagliargli la lingua…Si fece coraggio, prendendo una mano all’uomo dei palloncini per tirarla verso l’alto. Com’era pesante! Finalmente l’uomo si zittì, ma invece di guardare verso il cielo continuava a guardare lui.

“Lo vedi? –  chiese ancora Saverio – Lo vedi l’albero a testa in giù? Ha le radici nelle nuvole! Lo vedi?”

Per un attimo l’uomo sembrò alzare la testa, ma subito dopo la scosse e tornò a fissarlo. Non aveva più la faccia sorridente di prima. Staccò la mano dalla sua e gli disse di andarsene, che se  non ne voleva comprare un palloncino poteva anche andarsene.

Saverio lasciò perdere. Tornando sui suoi passi mise le mani in tasca e accarezzò le foglie, sistemate due per parte nel giaccone. Forse, pensava, ne troverò ancora. Sono solo quattro lettere, magari è l’inizio di una parola più lunga, o di una frase, forse è addirittura un indovinello…gli piacevano gli indovinelli, giocare con le parole e anche leggere. Quando leggeva non dava fastidio a nessuno, e nessuno dava fastidio a lui. Per non dire dei mondi fantastici che si potevano immaginare con le storie… peccato che i libri finissero sempre troppo in fretta…Stava ancora pensando a questo, quando all’improvviso sentì un pizzicorino alle mani. 

E adesso, pensò, che succede? Tirò fuori le quattro foglie e le sistemò sul prato, mettendole in fila nell’ordine in cui l’aveva trovate. Sembravano proprio vive. Riguardò l’insieme: quattro grandi foglie ovali e quattro lettere: S A L I.  

Nel frattempo, lassù nel cielo, era in corso una discussione molto accesa fra l’albero e le sue foglie, che non avevano perso di vista Saverio nemmeno per un attimo.

L’albero a testa in giù era arrabbiatissimo:

“Avete visto – tuonava – cosa avete combinato? Mi ero raccomandato di smetterla con questi stupidi giochetti!”

“Non è un gioco – gli rispondevano le foglie tutte in coro – non è un gioco, non è un gioco…”

“Allora è anche peggio, è una stupida leggerezza da parte vostra! Quel povero bambino, lo prenderanno in giro anche di più adesso, e lui si sentirà più solo che mai… Siete cattive!!”

“Non siamo cattive, non siamo cattive, non siamo cattive – frusciavano le foglie di rimando, e ancora – Vedrai, vedrai, vedrai…”

“Che altro devo vedere, ho visto anche troppo!”  

D’un tratto il bambino era sparito.   

“Ecco, se n’è andato – sbuffò scuotendo tutte le foglie – siete contente? Ora sono stanco!”

L’Albero non se n’era accorto, ma Saverio era ancora lì. Si era arrabbiato così tanto con le sue foglie da non vedere più nulla. Ma la rabbia è un mostro invisibile che succhia tutte le forze, così adesso era costretto a dormire suo malgrado. Di contro, il bambino che gli piaceva tanto, aveva imparato che arrabbiarsi non serve a nulla, e continuava a guardare con pazienza, cercando di capirci qualcosa, le quattro foglie che aveva steso sul prato:

S A L I

Alla fine capì: ma certo…SALI!

Chiuse gli occhi immaginando che le foglie magiche si trasformassero in un tappeto volante, ma li riaprì quasi subito! In men che non si dica un vento fortissimo gli scompigliava i capelli: le foglie erano diventate davvero un tappeto volante e lo stavano portando sempre più in alto!

 “WOW, CHE MERAVIGLIAAAAAA!” Gridò Saverio pieno di gioia. Non aveva più paura di urlare tutto il suo entusiasmo, non aveva più paura di niente, lassù. Stava volando verso le nuvole, in direzione dell’Albero a testa in giù che diventava man mano più vicino e più grande… oh, quanto grande!
Era davvero enorme. Si vedevano le radici avvolte nelle nuvole, e il grosso tronco ritorto, come se l’albero fosse cresciuto girando su se stesso per guardare in ogni direzione della terra e del cielo che lo ospitava.
E le foglie! Le foglie respiravano e sussurravano parole misteriose nelle loro mille sfumature di verde. Ognuna di loro aveva una lettera, anche le più piccole.

Il tappeto si fermò, fluttuando, proprio alla base della grande chioma dell’albero, che stava ancora dormendo. Sognava il bambino che se n’era andato, e che già gli mancava, e stava ancora sognando quando avvertì la piccola mano di Saverio, protesa ad accarezzare le sue ultime foglie, quelle più giovani e più dispettose di tutte.

Oh sorpresa! Oh meraviglia! Il bambino era lì con lui e si stava arrampicando fra i suoi rami!!

“Ciao Saverio – sussurravano le foglie – ben arrivato, ben arrivato, ben arrivato…. Qui potrai giocare in libertà, inventare nuove storie e diventare amico del nostro albero, che solo tu hai visto perché, anche se sei piccolino, il tuo cuore è grande e i cuori grandi, quando si collegano agli occhi, fanno vedere ogni cosa.” 

*****

Il bambino che nessuno ascoltava e l’albero che nessuno vedeva diventarono grandi amici e non furono mai più soli. Quando voleva tornare a casa, Saverio preparava un tappeto volante con le foglie delle lettere

“S” – “C” – “E” – “N” – “D” – “I” 

Ora che ha scoperto l’albero a testa in giù e le foglie-lettere con cui giocare, Saverio sfreccia felice fra la terra e il cielo, abbracciato ai suoi tappeti volanti di lettere e parole per ogni occasione.

Raccoglie sempre tutte le foglie-lettere, perché da grande vuole fare il cantastorie.

(testi e immagine di Gabriella Monti alias lagabri)

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