“Maria!” La domestica si affacciò subito.
“Sì Señora, ha bisogno?”
Costanza la guardò, ricordando il giorno in cui l’aveva assunta. Gli occhi della donna erano vigilie buoni come allora, quando le aveva detto che poteva restare.
“Per favore, portami in veranda.”
Le mani scure e forti della cameriera afferrarono la carrozzella con decisione e grazia al tempo stesso “Señora, meglio prendere golf, fresco oggi”
Costanza piegò leggermente la piccola testa bianca in cenno d’assenso. Teneva le mani in grembo e fra le mani, che tremavano leggermente quasi non volessero credere alla notizia, il referto medico.
Cancro. Ai polmoni.
Forse qualche mese, aveva detto il giovane oncologo – faremo il possibile, tuttavia lei è…piuttosto anziana –
Gentile. Poteva dire vecchia. Era vecchia, ma non aveva paura di morire. Aveva vissuto abbastanza. Fin troppo se pensava al suo corpo ridotto a una cosa contorta e nodosa.
Un corpo mutilato dall’artrosi e ormai costretto all’abbraccio indecente della carrozzella.
Che stanchezza.
“Maria, il telefono.” Il tono era stato più imperioso di quello che avrebbe voluto.
Chiamò i suoi avvocati. Era tempo di pensare al testamento.
Costanza Chiaravalle aveva investito molte delle sue energie per diventare ricca. Niente matrimonio d’interesse, niente debolezze. Si era messa in affari negli anni ’50: le donne di allora rincorrevano miti americani e gambe vestite a nuovo, lei commerciava in calze. Calze in nylon. Aveva talento, per gli affari. Aggiunse al talento la necessaria scaltrezza, e diventò un’imprenditrice.
Pochi anni dopo le sue calze avevano conquistato il mercato.
“Maria!”
“Señora?”
“Niente…”
Gli avvocati non erano disponibili quel giorno. Forse domani. Un giorno in meno da vivere.
“Maria…”
“Sì?”
“Portami le sigarette”
“No tenemos, Señora”
“Già…”
Aveva smesso di fumare. Costanza alzò gli occhi sulle piante della veranda.
“Maria…”
“Sì?”
“Ti manca il tuo paese?”
La donna si arrestò un attimo. Piegò lo straccio con cura, prima di rispondere.
“Un poco…sì”
“Cosa ti manca di più?”
“Il sole, Señora. Y el mare, tanbien”
« Non hai mai pensato di tornare ? »
” No, nécessito lavorar”. Si chinò sul tavolo, continuando a spolverare.
L’argomento era chiuso.
Maria aveva lasciato il suo paese sei anni prima. Ma la meravigliosa Santo Domingo dei turisti non era casa sua. Casa sua faceva parte dell’isola che i turisti non vedono.
Costanza non fece parola della malattia. I medici erano tenuti al segreto professionale, gli altri al rispetto dovuto alla sua età e – prima ancora – alla sua posizione.
Il giorno dopo ordinò agli avvocati di avviare le pratiche. Poi chiamò i figli, spiegando via cavo all’altro capo del mondo che aveva deciso di fare testamento. Il tono d’allarme delle loro voci era falso, e l’alito di sollievo che avvertì – simile al retrogusto di uova marce in un vino scadente – la fece pentire di aver usato il telefono.
Sarebbe stato meglio avvertirli via internet. Uno strumento perfetto.
Posò il ricevitore. Li ricordava bambini, così dolci da piccoli e poi, crescendo, così inetti. I Gemelli. Due parassiti, come il padre. La prole del peggior errore della sua vita.
Maria trafficava in cucina. La sentì fermarsi e aguzzare le orecchie al suo attacco di tosse.
“Señora…”
“Sì?”
“Lei malata, chiamo dottore” disse sfiorandole la spalla con un gesto leggero, gli occhi attenti a cercare i suoi.
“No, Maria, non importa. Sono solo vecchia.”
“Io faccio brodo di pollo oggi. Brodo buono per tosse”
“Va bene, Maria, va bene…”
Maria lavò le verdure e selezionò la carne per il brodo.
Aveva lavorato per altre signore ricche, prima di Costanza, ma nessuna era come questa.
Sola. Silenziosa. Non c’erano da lucidare cornici d’argento. Niente fotografie.
Ricordò i figli, erano stati loro a contattarla. La madre era anziana, c’era bisogno di qualcuno in casa. L’avevano portata lì, un buon lavoro, in regola, ottimo per il rinnovo del suo permesso di soggiorno.”L’unica cosa – dissero – è che ha un brutto carattere”.
Non li aveva più visti, eppure stava lì da due anni.
All’altro capo del mondo i gemelli brindarono con whisky di ottima marca.
Finalmente la vecchia si era decisa. Certo che ce ne aveva messo di tempo…l’azienda era stata venduta – secondo lei in mano loro sarebbe fallita entro sei mesi – ma restavano un sacco di soldi, oltre alla villa e a tutto il resto.
Al terzo brindisi la loro allegria si smorzò.
Con i suoi ottant’anni scarsi e le cure all’avanguardia avrebbe anche potuto seppellirli.
Intanto perdevano i loro anni migliori, vedevano le mogli prosciugare i conti in banca e i figli diventare sempre più esigenti.
Certo, mamma garantiva una sussistenza più che decorosa, ma dopo…oh, dopo avrebbero vissuto alla grande. Bisognava tornare a casa, andare a vedere come stava mammà.
Costanza era sola. Le piaceva guardare le piante rigogliose della veranda, saperle ben curate nei vasi, annusare l’odore della terra. Amava il loro silenzio, e il fatto che non camminassero via.
Pensò a tutti gli anni passati ad essere qualcuno, e a quelli persi cercando di capire prima – ed accettare poi – di aver sbagliato tutto. L’essere qualcuno aveva calmato una sola fame.
Per l’altra, aveva ceduto alle lusinghe di un cibo sconosciuto ed infido, che prometteva di saziarla come nessun altro. Un uomo più giovane che le diceva “Ti amerò sempre”. Sempre.
L’aveva sposato, felice. E cieca.
“Señora Costanza…”
“Cosa c’è?”
Maria la raggiunse senza dire altro, e le porse il telefono. Al di là del filo, Costanza registrò mentalmente la data d’arrivo dei suoi figli. Non si erano dati pena di verificare se a lei andasse bene.
L’aereo era in orario. Sarebbero atterrati di lì a poco. Niente mogli, né figli, tanto alla madre non sembrava importare granché di loro, e comunque non parlavano neppure la stessa lingua.
“Luca…”
“Che c’è ?”
“Ti ricordi di papà ?”
“Papà? Come ti viene in mente, adesso?”
“Così…”
“E’ morto.”
“OK, ma se si fosse salvato? Pensi che sarebbe stato lo stesso, per noi?”
“Non lo so.”
Luca scosse le spalle, e tornò a guardare fuori. Suo padre…suo padre era il ricordo indistinto di un uomo poco presente morto nel rogo della sua auto. L’ultima sbandata. La madre aveva seguito il feretro senza una lacrima. Erano bambini. Anni dopo qualcuno aveva parlato di tradimenti e di alcolismo.
Comunque fosse andata, pensarci non serviva a nulla. Ma Andrea non si era mai rassegnato.
Al loro arrivo Maria raccolse i soprabiti e li condusse in veranda.
Era lì – spiegò – che la signora trascorreva la maggior parte del tempo, ultimamente.
Costanza salutò i figli con fredda cortesia, e offrì loro un caffè. I due rimasero a guardarla, sorpresi della nuova fragilità della madre. Era diventata vecchia. Una vecchia secca e contorta dentro a una carrozzella di lusso troppo grande per lei. Notarono il computer, in un angolo della veranda.
“E’ per la Borsa – disse Costanza raddrizzando la schiena – controllo i titoli con Internet”
“Ah…in veranda?”
“E’ un posto come un altro.”
“Certo, mamma.” Mamma. Ancora per poco.
“Immagino – proseguì Costanza – che siate qui per il testamento”
“Ma che dici mamma, non cambi mai…piuttosto, come stai?”
“Benissimo.”
Costanza tagliò corto e andò dritta al punto, informando i figli in dettaglio sui termini testamentari.
Era stata imparziale, disse, e le loro famiglie avrebbero potuto vivere di rendita per tutta la vita; conoscendo, tuttavia, la devastante incapacità che avevano nella gestione del denaro si era permessa di far preparare un piano di investimenti dai suoi consulenti finanziari. Sarebbe venuti il giorno dopo, per accordarsi personalmente con gli eredi.
Quando le parve che tutto fosse stato chiarito, li congedò.
Nei giorni successivi constatò una sollecitudine filiale mai conosciuta prima, vide occhi che trasudavano avidità, subì strette e sorrisi melensi, ascoltò commenti trattenuti sulla sua salute e ostentati discorsi del più e del meno.
Al quinto giorno notò lo sguardo triste di Maria che apparecchiava per tre.
Dopo pranzo recuperò tutti i documenti della donna in suo possesso, e passò il resto del pomeriggio, come molti dei successivi, davanti al computer.
Quando Costanza morì, a Maria venne da piangere e non perché non sapesse dove andare (aveva già un altro posto che l’aspettava), ma perché si era affezionata a quella strana vecchia silenziosa.
Fu lei a lavarla e vestirla per l’ultimo viaggio.
Qualche giorno prima di morire, la signora l’aveva chiamata per consegnarle una busta sigillata. Non c’era intestazione, e aveva dovuto promettere di aprirla solo dopo il funerale.
Maria, rispettosa, aveva preso in consegna la busta e l’aveva riposta in camera sua.
Al funerale i figli di Costanza Chiaravalle non c’erano, per espressa volontà della madre che aveva vietato a chiunque di avvertirli. Gli avvocati notificarono il decesso tre giorni dopo.
Maria, obbedendo agli ultimi ordini della sua signora, aspettò il rientro dei gemelli per la consegna dell’urna cineraria.
Luca e Andrea non riuscivano a crederci. Era morta.
L’avevano vista solo qualche mese prima, ed era morta. Senza dire una parola.
Senza farli andare al funerale.
E senza lasciar loro altro che cenere.
Il testamento non era stato toccato, ma i capitali dei conti bancari che costituivano la loro favolosa eredità non esistevano più. Spariti nel nulla. Anche la villa era stata venduta, il ricavato dato in beneficenza.
L’urna sorrideva, beffarda.
Sulla strada per l’aeroporto aprirono la portiera e la buttarono via.
Maria aprì la busta dopo la partenza dei gemelli. Al suo interno un breve messaggio di Costanza le diceva di contattare un avvocato dal nome sconosciuto.
L’avvocato confermò alla donna dal forte accento spagnolo di presentarsi al suo studio per comunicazioni che la riguardavano. Posando il ricevitore non poté fare a meno di sorridere.
Costanza Chiaravalle, la vecchia belva, aveva chiuso in bellezza.
Era proprio da lei, lasciare tutti quei miliardi alla domestica domenicana.