Alcool

Marco si alza piano, poi si muove nella penombra della stanza senza far rumore. Deve far presto, a volte la maestra si arrabbia quando arriva a scuola per ultimo, e un giorno o l’altro nemmeno la bidella amica sua gli aprirà più il portone. Corre in bagno a stropicciarsi il viso con un po’ d’acqua fredda, poi infila i pantaloni e il maglioncino del giorno prima, tanto – pensa – sono ancora puliti.
La casa è immersa nel silenzio. Va in cucina a scaldarsi il latte, ma il manico del pentolino è rotto e nella fretta dimentica lo straccio e si scotta le dita. Il tavolo è ancora ingombro di piatti, bicchieri e posacenere sporchi. Due bottiglie di vino e una di grappa – vuote – stanno lì a parlargli di sua madre che sta male. Pulisce un angolo un po’ alla bell’e meglio, quel tanto che basta ad appoggiare la sua tazza, poi prende i biscotti, ma gli cadono di mano, insieme ad un bicchiere rimasto in bilico sull’orlo della tavola. Marco si blocca, preoccupato, finché la voce di sua madre lo raggiunge.
La voce proviene dal salotto, segno che mamma ha dormito sul divano, come sempre quando è triste e le cose non vanno. Lascia la colazione e va da lei, che sta tentando di tirarsi su. Una lunga ciocca di capelli mezzi morti le scivola in avanti sopra il viso troppo gonfio. Lei li sposta con un gesto lento.
– Mamma…
– Tesoro…papà non c’è ?
– No
– Vengo a farti la colazione…
– Non importa mamma, stai tranquilla, ho già fatto, e poi è tardi, devo andare. La maestra mi sgrida se arrivo tardi
Vorrebbe abbracciarla, ma lei si è già lasciata cadere di nuovo sul telo sfatto del divano, con una mano sulla testa, le gambe ripiegate, gli occhi quasi chiusi. C’è un brutto odore tutt’intorno, di chiuso, di sudore e di fumo stantio. La scuola, per fortuna, è a pochi passi. Butta giù il latte e due biscotti, poi agguanta la cartella. Chissà se almeno oggi avrà preso tutti i libri.

A scuola è già contento: c’è la sua maestra preferita, quella giovane e simpatica che non lesina carezze alla sua testa arruffata, anche se è l’ultimo ad entrare. In realtà ha detto una bugia, lo sapeva che c’era la maestra brava, alla prima ora.
La maestra Francesca non lo sgrida mai, nemmeno se è tardissimo. Sono già quattro anni che la conosce, dalla prima elementare. Non l’ha mai tradito.
Marco la guarda raggiante e per un attimo tutto sembra perfetto, proprio come nel mondo fatato della pubblicità, il mondo di merendine e di sorrisi che la scatola di immagini e parole sparge in cucina quasi 24 ore al giorno.

Le ore del mattino sono volate, ecco il lungo suono della campanella che se le porta tutte via.
Prende lo zaino ed esce in strada, la schiena un poco curva. I libri sembrano d’un tratto più pesanti da portare. Poco dopo infila il portone del palazzo, un vecchio caseggiato delle case popolari, e si trascina lentamente per le scale, non c’è ascensore, su fino al piccolo appartamento al terzo piano; annusa l’aria. Chissà se mamma ha fatto da mangiare oppure dorme ancora.
Aguzza le orecchie, prima di entrare. Sembra tutto tranquillo. Sta per aprire, le chiavi ciondoloni nelle mani, ma oggi è un giorno fortunato: mamma l’ha sentito arrivare e ora è lì davanti a lui. Ha aperto già la porta, gli prende la cartella e gli dà un bacio. Marco è felice. Non è proprio come alla TV, dove i bambini rientrano in case tutte lustre circondate da giardini in fiore, e dove le mamme sono sempre bellissime, radiose e certamente profumate, ma lui è contento lo stesso. La cucina è pulita, la mamma sembra stare meglio, e non c’è più l’odore cattivo di cose guaste che c’era alla mattina.
– Mamma ! esclama, e l’abbraccia forte – stai bene ?
– Sì tesoro, non ti preoccupare. E ho una sorpresa per te… – risponde lei ricambiando l’abbraccio
– Una sorpresa ? – Marco sgrana gli occhi, curioso e già un po’ intimorito. Le sorprese non sono sempre belle, a casa sua.
– Proprio così, una sorpresa vera: andiamo a mangiar fuori insieme! Contento?-
Certo che è contento, non capita mica tutti i giorni…però…
Ma poi decide che non ha voglia di pensare: si scioglie dall’abbraccio e corre in bagno a lavarsi le mani. Mamma ci sta attenta, se è pulito o no, quando sta bene. Quando sta male, invece, ha gli occhi bui, e quelli – lui lo sa – non lo vedono proprio.

Escono a piedi, mano nella mano fino alla prima trattoria. La mamma sembra un’altra, oggi, con il vestito buono ed il rossetto rosa sulle labbra piene. Marco la guarda come si guarda un sogno. Vorrebbe chiedere perché papà non è con loro, ma sa che è meglio se sta zitto. Forse papà è arrabbiato con la mamma, o forse se n’è solo andato con gli amici, non lo sa. Non sa mai bene perché si arrabbia tanto. Succede sempre quando sua mamma è stanca e non sta bene, ma anche quando si fa bella e lui la vede sulla porta, pronta ad uscire.
Sei una troia alcolizzata, dice allora, e cose anche più brutte che Marco non vorrebbe ricordare. Quelle parole non le ha trovate – un tempo – sopra il suo primo dizionario, ma adesso sa cosa vuol dire troia, e aspetta d’esser grande per dimostrare al padre quanto ha torto. Per ora è troppo piccolo e non lo può menare. In quanto all’alcool…quello è un altro di quei misteri della televisione: nessuna di quelle signore eleganti col bicchiere in mano sembra avere il mal di testa e l’espressione sfatta di sua madre. Sarà perché nella TV brindano sempre quando fanno festa, e il giorno dopo non si vedono. Intanto arriva il cameriere con il pane, e col taccuino delle ordinazioni. La mamma – che sappia pure lei la storia di quel bimbo in mezzo ai frati? – ordina per prima cosa il vino che per il resto – dice – ripassi pure, ci penso un po’. L’acqua per il bambino? Sì, certo, anzi una coca-cola che a lui gli piace tanto e oggi dobbiamo festeggiare.
Il cameriere si allontana, sembra che abbia le molle sotto ai piedi.
– Mamma – chiede Marco strisciando la punta delle scarpe contro il pavimento – che cosa si festeggia ? La guarda fisso in faccia per un attimo di troppo, poi abbassa gli occhi timoroso, che con la mamma non si può mai sapere…Ma oggi è proprio un giorno assai speciale.
Gli risolleva il viso con una gran carezza che lo riscalda tutto, e ride ancora.
– Sai cosa festeggiamo ? – risponde sorniona – festeggiamo che ci vogliamo tanto bene, io e te… – Una risposta che lo disorienta. Sua madre intanto continua nel monologo – perché io ti voglio tanto bene, lo sai vero? E tu, vuoi bene alla tua mamma, eh, mi vuoi bene tu ? Sai, voglio essere una mamma più brava. Una brava mamma per un bravo bambino come te.
– Sì, mamma… – Marco non sa cos’altro dire, ma è tempo di ordinare: finalmente può concentrarsi su cosa vuole da mangiare.

Prima di rientrare si attardano a passeggio nel quartiere, fino alla prima panchina un po’ scrostata di un piccolo giardino spelacchiato, dove frotte di adolescenti svagati e inquieti sostano a gruppi sui loro motorini. È primavera, e nonostante tutto l’aria sa di buono. Marco si siede, facendo dondolare i piedi. Mamma continuare a tenerlo per mano, lui si vergogna un po’ di quell’affetto, davanti ai ragazzi più grandi, ma sotto sotto è ben contento. Continua a sbirciare sua madre in silenzio, mentre si chiede dove sarà papà. Più tardi, quando saranno a casa, gli amici verranno per chiamarlo, che c’è in programma la partita di pallone. Marco va pazzo per il calcio, e i suoi amici lo ammirano perché segna un sacco di gol, facendo centro senza esitazione fra i pali di ferro arrugginiti del campetto.

È proprio una giornata perfetta.

A casa sua madre appassisce all’improvviso, come una rosa tardiva e già un po’ spenta, arresasi al rigore dell’inverno. Lo sguardo abbandonato vaga lungo le pareti. Lascia la borsa su una sedia, va in cucina. Dentro al televisore, ancora acceso, scorrono immagini e parole che Marco trova senza senso. Vede lo sguardo di sua madre sostare a lungo sopra il calendario, che è appeso al muro accanto alla dispensa. Forse c’è qualche replica di Dragon Ball, da qualche parte, intanto che aspetta l’arrivo degli amici. Prende il telecomando, e vede muoversi le mani di sua madre, che un poco tremano, andando incontro al whisky. D’un tratto piange piano, senza voce. Marco cambia i canali, lo sguardo fisso alla televisione.

Un’ora dopo suonano alla porta. Sono i suoi amici che lo chiamano, dai presto scendi, che andiamo a fare la partita. Marco vede sua madre in camera da letto, il corpo rannicchiato, troppo vicino al bordo, vestita sopra le coperte.
Non vengo oggi – dice – non mi va.
Poi la raggiunge, si mette lì vicino, dietro a lei.
Si piega un po’ sul fianco, finché non ha la stessa posizione.
L’abbraccia, chiude gli occhi e resta lì, per non lasciarla sola.

(2005)

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